La comunità parrocchiale di Sanfront è sempre stata più popolosa, e di gran lunga più importante, rispetto a quelle delle frazioni di Robella e Rocchetta. Le prime notizie certe della presenza religiosa in paese risalgono agli inizi del 1200, e sono legate alle controversie per le decime con il monastero di Rifreddo. Già in allora, sia a Sanfront, che a Robella e Rocchetta, c’era un prete. Le assemblee dei primi cristiani si tenevano nelle rispettive chiese. Per quanto concerne il capoluogo o villa, la chiesa è sempre stata intitolata a San Martino Vescovo.

 

San Martino

 

L’attuale parrocchiale di Sanfront venne consacrata il 1° maggio 1494. Precedentemente esisteva un più antico edificio sacro collocato in altra zona, sempre nel centro storico, grossomodo all’altezza dell’incrocio tra le attuali via Trento e via Combalotto, anche se non vi sono quasi più tracce di quel primitivo tempio. Non è pervenuto a noi alcun documento relativo a tale chiesa, che verosimilmente doveva avere le dimensioni di una cappella o poco più.

 

Con il passare degli anni, la popolazione andò sensibilmente aumentando e tale edificio risultò troppo angusto per accogliere i fedeli. Così si decise di costruire una nuova chiesa. Il 1° maggio 1494 mons. Bernardino Vacca, delegato del Cardinale Domenico della Rovere, Arcivescovo di Torino, consacrò la nuova chiesa parrocchiale di San Martino in Sanfront. Essa rimase per 17 anni sotto la giurisdizione della diocesi di Torino, fino al 1511, quando venne costituita la diocesi di Saluzzo.

 

 

Per la verità in origine la chiesa di San Martino era piuttosto diversa da come la possiamo ammirare oggi. Non c’erano le due navate laterali e l’unico corpo centrale era preceduto, come usava a quel tempo, da un pronao o portico, addossato alla facciata e sorretto da due colonne di muratura. Architettonicamente venne costruita in stile gotico, con il vestibolo (portico) che tagliava in due la facciata. Il presbiterio con il coro, aveva forma ottagonale. La volta del presbiterio era di circa un terzo più bassa rispetto al resto della chiesa. Come gran parte degli edifici sacri di allora, il pavimento era collocato in basso rispetto al piano esterno. Attraverso la porta principale si scendevano quattro gradini per accedere alla navata. L’interno era spoglio, con pareti semplicemente imbiancate a calce e senza alcuna pittura. Il pavimento a sua volta era un normale battuto in calce con materiale ghiaioso. All’altezza del presbiterio un grande crocefisso dominava la scena, ed anche questa era una tradizione consolidata tipica di tutte le chiese. Accanto si trovavano le statue della Madonna e di San Giovanni. Due i confessionali presenti nel Seicento, altrettanti i sepolcri, collocati all’incirca alla metà della navata. All’esterno la chiesa spiccava per la sua bellezza. La facciata con pietra a vista era interrotta da fregi in cotto nella parte absidale. Di quell’epoca si conserva ancora oggi l’affresco della Madonna in Trono, dipinto in una nicchia posteriore del presbiterio, oggetto in tempi recenti di alcuni interventi di conservazione.

 

Dunque una chiesa semplice, ma decorosa, bella, piuttosto ampia (rispetto almeno al vecchio tempietto), ed adatta ad accogliere, poco più di mezzo secolo più tardi, nel 1549, il re di Francia Enrico II, venuto nel saluzzese ed ospitato a Sanfront da don Ludovico Biandrate, protonotario apostolico e canonico della Cattedrale, oltre che vicario generale della diocesi di Saluzzo, membro della nobile famiglia dei Biandrate, signori del luogo di Sanfront.

 

In alcuni documenti d’archivio si ha notizia di un’antica cappella, che doveva sorgere non lontana dalla parrocchiale, dedicata a San Rocco. Essendo questo Santo il protettore della peste, si può ragionevolmente ipotizzarne la costruzione a seguito di qualche voto, forse in occasione della peste del 1520 oppure di quella del 1630. Questa cappella si trovava “verso il torrente Herbetta” (l’attuale rio Albetta), nei pressi della “contrada della fontana del Riparo” (ovvero il viale alberato lungo l’Albetta, che molti ricordano ancora essere un tempo chiamato “l’arpar”, cioè riparo).

 

San Martino

 

Tornando alla chiesa di San Martino, merita una citazione particolare la visita pastorale a Sanfront da parte del Vescovo mons. Marengo, il 6 agosto 1629. Era allora Conte di Sanfront Ercole Negro, mentre il parroco era don Pietro Agostino Della Chiesa. In quel periodo era fiorente la “Societas Virginum” e la Confraternita dei Disciplinati, con 40 membri. Gli atti di quella visita pastorale ci permettono di scoprire che la chiesa aveva un atrio e tre porte. Dalla porta maggiore si scendevano quattro gradini per entrare all’interno. Si celebrava una festa particolare il 1° maggio, anniversario della consacrazione. Il campanile con cuspide, aveva tre campane ed era staccato dalla chiesa.

 

Passò poi quasi un altro secolo, prima che fossero progettati dei nuovi lavori. I primi interventi annotati, recano la data del 1718, e vennero affidati al mastro da muro Antonio Guerra. Si rese necessario provvedere alle riparazioni al tetto della chiesa parrocchiale maggiore. Fu però la più tarda epoca barocca a portare significativi cambiamenti soprattutto negli interni della parrocchiale. Nel 1760 cominciarono ad aggiungersi medaglioni ed altari, in marmo o stucco. E’ di allora anche l’altar maggiore, in marmo, per molto tempo conservatosi ottimamente. Risalirebbe a quegli anni pure il bel coro ligneo, che tuttora si trova posteriormente il presbiterio. Nel 1771 il mastro Pietro Facenda segnalò la necessità di rifare il pavimento interno della chiesa parrocchiale maggiore, per il quale si ipotizzò una spesa di lire 415. Quello esistente era ormai guasto e la presenza dei fedeli sollevava molta polvere. Il Comune accolse tale proposta ed avallò l’opera. Tre anni più tardi le pareti interne della chiesa vennero nuovamente imbiancate in calce.

 

Nel 1780 crollò il tetto di un vecchio portico, che collegava la sagrestia al macello ed alla cappella di San Rocco. Il 2 giugno 1783 il consiglio comunale di Sanfront decise di provvedere alla riparazione del tetto della chiesa parrocchiale di San Martino. Le travi erano marce ed in diversi punti si registravano infiltrazioni d’acqua all’interno della chiesa. 674 lire la spesa prevista per tali lavori. Il capo mastro Vittorio Allasia di Martiniana vi provvide.

 

 

Occorre arrivare ai primi lustri del 1800 per assistere alla svolta radicale per quanto riguarda la chiesa e la canonica, con imponenti lavori che si andavano profilando. Poco dopo il 1830, al suo arrivo a Sanfront, il parroco don Bernardino Ferrero, decise di costruire una nuova casa canonica. Nel volgere di pochi anni prese corpo l’attuale edificio, ancora oggi adibito ad ospitare i sacerdoti della parrocchia. Qualche anno più tardi, con l’allora parroco e vicario foraneo don Felice Camillo Craveri, si iniziò a parlare di ampliamento della chiesa parrocchiale, con la creazione della navata destra. Un intervento coraggioso, soprattutto se si tiene conto che il nuovo prevosto doveva ancora coprire le spese sostenute dal suo predecessore per la nuova canonica. Intanto, nel 1849, si pensò anche di ampliare la troppo angusta piazza antistante la chiesa, non sufficiente ad accogliere la moltitudine di fedeli, soprattutto nelle giornate di festa grande. Don Craveri concordò con il Comune la cessione del cortile della vecchia canonica ed una porzione di casa ivi esistente, al Comune, in cambio dell’abbattimento del muro di cinta e dell’allargamento della piazza, rendendola al tempo stesso più regolare. Erano ormai maturi i tempi per l’ampliamento della chiesa.

 

Don Felice Camillo Craveri perseguì tenacemente il progetto di ampliare la chiesa, lavori che peraltro comportarono una spesa di 10.000 lire, cui si fece fronte senza ricorrere a richieste di aiuto al municipio, ma utilizzando fondi a disposizione della parrocchia e grazie alla generosità dei fedeli, come annotò lo stesso parroco. Nel gennaio 1857 il vicario certificò la conclusione dei lavori, annotando il debito residuo di lire 2.800 circa e “non vedendone al momento altro mezzo per soddisfarne almeno una parte, che di vendere dei calici d’argento, ed una pisside pure d’argento, pur di molto inferiore valore”. Fu dunque necessario vendere alcune suppellettili sacre per estinguere almeno un parte del debito.

 

L’intraprendente don Craveri non si rassegnò di fronte ai costi del primo allargamento della chiesa, e riuscì a coronare il proprio sogno di vedere ampliata la parrocchiale anche dal lato sinistro. Era il 1873quando si progettò e si realizzò la navata laterale sinistra, conferendo alla chiesa grossomodo la struttura che ancora oggi possiamo ammirare. Il 10 settembre 1879 il nuovo parroco di Sanfront don Giacomo Bonardo scrisse agli amministratori comunali per ringraziarli del prezioso contributo di lire 500, stanziato l’anno precedente a copertura dei debiti della parrocchia derivanti dall’ampliamento della medesima. Nello stesso scritto il vicario chiese però nuovi contributi al Comune, perché le spese da coprire erano ancora molte e le possibilità economiche della parrocchia erano modeste.

 

Se don Craveri fu l’artefice dell’ampliamento della chiesa, don Bonardo merita di essere ricordato come il fautore e promotore delle preziosissime pitture interne alla parrocchiale, affidate tra il 1885 ed il 1889 al pittore martinianese Giovanni “Netu” Borgna. Dipingere la facciata esterna significava imbattersi nel porticato che, come detto, la divideva in due parti nettamente distinte. Fu così che si decise di eliminare tale portico, liberando così l’intera facciata, per lasciarla alla sapiente mano del pittore. L’opera di decorazione interna ed esterna fu particolarmente curata e richiese parecchi anni. Tanto che il prevosto don Bonardo non potè vedere completamente ultimati tutti i lavori. Toccò al suo successore, don Domenico Marconetti, decretare la fine dell’intervento, proponendo poi al vescovo una nuova consacrazione della chiesa parrocchiale di San Martino, che avvenne il 28 ottobre 1900.

 

Prima di esaminare i copiosi e puntuali lavori che sono stati realizzati nel corso del Novecento, durante il quale ci fu anche la tragedia della seconda guerra mondiale con l’abbattimento del campanile e notevoli danni per la chiesa, vediamo come si presentava la parrocchia all’inizio del 1901, nell’inventario redatto dal vicario don Marconetti.

 

 

Descrizione della Chiesa di San Martino con le modifiche apportate nel Novecento


Il tabernacolo dell’altare maggiore della chiesa parrocchiale era di marmo. Quello della cappella del Purissimo Cuore di Maria e dell’altare del Suffragio erano di stucco. Solo il tabernacolo dell’altare maggiore e quello della Confraternita erano muniti di chiavi. Il battistero era situato sul lato sinistro dell’ingresso della chiesa ed era circondato da un cancello con tanto di chiavi. La parrocchiale era consacrata, mentre le altre chiese erano solo benedette. Il presbiterio era separato dalla chiesa con un cancello, sia nella parrocchiale, che nella Confraternita, che nella cappella di Mombracco. La cappella di San Bernardo di Comba Albetta non aveva campanile e la cappella di S.Agata aveva il campanile con la corda delle campane che discendeva in chiesa. Il coro era presente nella chiesa parrocchiale, nella Confraternita e nella cappella di S.Chiaffredo. Nella sagrestia, secondo precise disposizioni, doveva trovarsi un lavandino per lavarsi le mani. In alcune cappelle non era presente e si suppliva con l’ampolla dell’acqua. Il cimitero del capoluogo era benedetto, circondato di muro e chiuso a chiave. Nel mezzo del camposanto era piazzata la croce ed era già dotato di un sepolcro per i sacerdoti.

 

Descrizione dell’interno della chiesa parrocchiale di S.Martino, nell’inventario 1901

 

L’attuale cappelletta invernale, posta all’incirca alla metà della navata laterale destra rispetto all’ingresso principale della chiesa, nel 1901 era adibita a cappella del Purissimo Cuore di Maria. All’interno della cappella, sulla destra, c’era un uscio che collegava al corridoio comunicante con la casa canonica. Quella porta è stata poi murata, ed oggi l’accesso dal corridoio della canonica avviene in chiesa nei pressi della porta laterale destra della facciata dell’edificio. L’antica prosecuzione del corridoio che portava nella cappelletta invernale era da decenni adibito a magazzino e deposito di attrezzature di chiesa. Sulla sinistra dalla cappella verso il corridoio che porta in canonica c’erano due stanze, una riservata alla Compagnia delle Figlie di Maria, l’altra adibita anticamente a confessionale dei sordi, che già alla fine dell’Ottocento era stato spostato nei pressi dell’attuale sacrestia. Collegato alla sacrestia c’era uno “stanzone” chiamato cappellone, anticamente usato come cappella annessa alla chiesa per poter contenere tutta la gente, prima dell’ampliamento della chiesa. Questo cappellone corrisponde all’attuale salone parrocchiale. La balaustra di separazione tra la chiesa ed il presbiterio, nel 1901 era ancora in legno, ma già don Marconetti auspicava “quanto prima da sostituirsi in marmo”.

 

Navata destra – Sotto il primo arco si trova l’altare del Suffragio con tabernacolo di stucco. Sopra c’è un grande quadro raffigurante le anime purganti, con cornice dorata. Nel 1901 c’erano, su detto altare, dieci candelieri argentati, cartegloria e croce con crocifisso argentati, quattro vasi con fiori, copertine di altare e leggile per messale. C’erano inoltre, lateralmente, due braccia di ferro fissi nel muro per i brandoni e la tabella dei confratelli e consorelle della Compagnia del Suffragio. Sopra l’icona c’era una bacchetta di ferro per sostenere la tenda con la quale si copriva il quadro nella settimana santa. Proseguendo nella navata di destra, si trovava la cappella del Purissimo Cuore di Maria (oggi cappelletta invernale), cui si accedeva mediante una cancellata di ferro, davanti alla quale c’erano due banchi semplici con solo inginocchiatoio. Sotto la terza volta della navata destra ecco l’altare del SS.Rosario. Esso è sovrastato da una grande icona di Maria Santissima del Rosario, adorna di cornice dorata. Questo altare è dotato di alcuni gradini, sopra i quali era collocato un quadro ad olio con cornice dorata, rappresentante il Beato Giovenale Ancina. Presenti inoltre dodici candelieri dorati, cartegloria, quattro vasi con fiori, leggile per il messale, due tovaglie. Anche in questo caso, sopra il dipinto, c’era una bacchetta di ferro alla quale si appendeva la tenda nella settimana santa.

 

Navata centrale – Già ad inizio Novecento si entrava in chiesa attraverso una bussola di legno, che era presente anche negli ingressi laterali. Sopra la bussola il grandioso organo a canne. Ai lati della navata erano già collocate le pile dell’acqua benedetta, di marmo. Sotto gli archi stavano “otto lampadari di cristallo finissimo e i “dodici” quadri della Via Crucis”. A differenza di adesso il pulpito era collocato a destra della navata, ma incasellato nel muro e poggiato sopra un confessionale. I confessionali erano già in allora in numero di sei.

 

Navata sinistra – Sopra la bussola della porta di ingresso laterale sinistra si trovava un quadro ad olio di S.Lucia con cornice dorata. Nella prima arcata rispetto a chi entra si trova il Battistero, che era chiuso con cancellata in ferro. In allora si trovava un dipinto del Battista, che battezzava Gesù. Sotto la seconda volta vi è l’altare di S.Francesco d’Assisi, formato in parte di marmo, con l’icona di S.Francesco in cornice dorata. Sopra un gradino stava collocato un quadro oleografico di Maria Consolatrice. Vi erano poi sei candelabri, cartegloria con croce dorati, dei vasi per fiori, delle coperte d’altare. In cima la solita bacchetta di ferro per calare il telo sull’icona nella settimana santa. Sotto la terza volta si trova l’altare di S.Antonio Abate, con l’icona del santo in cornice dorata. Sopra un gradino dell’altare sta il quadro del S.Cuore di Gesù ad olio con cornice dorata. Otto candelieri, cartegloria, dei vasi per fiori, una bussola per ricevere le elemosine, delle copertine d’altare, il leggile per il messale, e la bacchetta di ferro per la tenda della settimana santa. Sotto la quarta volta si trova l’altare di S.Frontone, con l’icona di S.Anna, di S.Frontone e di altri santi, ad olio con cornice dorata, sei candelieri, cartegloria, copertine d’altare. Sopra la bussola della porta laterale in fondo alla navata sinistra, c’è un quadro di S.Caterina ad olio con cornice dorata e due cornucopie doppie.

 

Il presbiterio era circondato da tre balaustre, una di fronte all’altare maggiore, le altre due laterali, con cancelletti di ferro. L’altare maggiore era di marmo (si noti che non esisteva l’altare rivolto verso il popolo), sormontato da una croce con crocefisso in legno. Il tabernacolo, anch’esso di marmo, era rivestito internamente con seta dorata e, all’esterno, con conopeo. Da entrambi i lati dell’altare maggiore c’erano delle bacchette di ferro che sostenevano, ancora per molti anni dopo il 1901, delle cortine rosse, che toglievano la vista al coro, posto dietro lo stesso altare. Nel coro, a ridosso dell’altare c’era un grande leggio (esiste ancora tuttoggi), con sotto un armadio dove si ripongono i messali. Sul fondo si trovava una grande icona di Maria Assunta con l’immagine pure di S.Martino Vescovo. Nell’adito tra la porta laterale ed il presbiterio si trovavano due inginocchiatoi, uno dei quali, in seta rossa, fungeva da inginocchiatoio per il Vescovo. La statua di Maria Vergine Assunta era collocata all’interno di un grosso armadio, situato nel cappellone.

 

L’affresco del Quattrocento dell’abside di Sanfront

 

L’elemento che conferisce alla chiesa di San Martino una valenza artistica notevole è indubbiamente l’affresco posto sulla parete esterna dell’abside. All’interno di una monofora collocata al centro di uno dei lati dell’ottagono che compone il presbiterio, venne dipinta una Madonna in trono, di cui si ignora l’autore. Si tratta di un affresco antichissimo, solitamente definito del Quattrocento. Se davvero fu di quel secolo esso venne realizzato negli ultimi anni. Non si dimentichi che la chiesa venne inaugurata nel 1494 e dunque è difficile ipotizzare una datazione molto anteriore all’affresco.

 

Purtroppo, a distanza di oltre cinque secoli, l’opera si presenta oggi in parte compromessa, nonostante i ripetuti, ma tardivi interventi di manutenzione. Vi si può ammirare una splendida rappresentazione della Madonna in trono, con il bambino in braccio, sotto un baldacchino rosso. Sullo sfondo, dei fregi richiamanti la volta di una chiesa. Sebbene oggi non sia praticamente più visibile, la Madonna recava sul proprio capo una corona regale, come assicura un documento con schizzo allegato, opera del professor Vacchetta, conservato presso il Civico Museo di Cuneo e relativo ad una visita compiuta a Sanfront dall’artista, all’inizio del Novecento. Il parroco don Renato Stecca ha predisposto, alla fine del 2004, un nuovo intervento di restauro per conservare al meglio questo prezioso gioiello tardo-gotico.

 

La casa canonica


La casa parrocchiale era stata ampliata nel 1839, a proprie spese, da don Bernardino Ferrero, il quale in quell’anno propose al Comune di mettere in vendita l’antica canonica. Il Comune condivise la proposta, sottolineando l’inadeguatezza dell’antica residenza del parroco per ospitare due vice curati, le persone di servizio, ed alcune camere per i predicatori delle quarant’ore e il Vescovo. A lavori ultimati il prevosto aveva ancora bisogno di oltre 11.000 lire per le spese della nuova canonica per la quale non aveva chiesto soldi né al comune né ai parrocchiani. Dalla vendita dell’antica casa canonica si potevano ricavare circa 4.000 lire. Don Ferrero escluse però dalla vendita il cortile antistante l’antica canonica, in previsione di allargare la piazza antistante la chiesa, cosa che venne poi fatta trent’anni dopo dal suo successore don Craveri. La nuova casa parrocchiale venne praticamente ultimata, ma il lungo balcone non era dotato di ringhiera e costituiva un pericolo per chi vi transitava. Tuttavia c’erano ancora molte spese da coprire ed il successore di don Ferrero, don Craveri, dimostrò chiaramente di non essere d’accordo con don Ferrero circa la costruzione della nuova canonica, come annotò puntualmente. “Anticamente il parrocoaveva un’onesta e ben riparata abitazione, per cui non era d’uopo che il Comune si facesse spesa veruna; ma l’immediato di lui antecessore di felice memoria, avendo voluto a proprie sue spese costrurre l’attuale sontuosa casa canonica, vendette l’antica, e fece eseguire la nuova con enormi suoi sacrifici. Sgraziatamente finì di vivere prima di porvi termine, e il nuovo parroco, privo di mezzi di fortuna, trovasi nella dolorosa posizione di non poterla ultimare, né mettervi la necessaria ringhiera come nemmeno può ciò ottenere dalla Comunità, perché non fu essa, ma il suo antecessore, che diede causa a tal opera, rifiutandosi frattanto il Comune a far detta spesa, sia perché l’antica casa non necessitava di alcuna spesa, come ancora perché il Comune è affattoprivo di mezzi, trovasi il parroco ricorrente nel caso di dover passare più volte fra il giorno e la notte per il balcone col pericolo della sua vita, non che di quella delle persone che sono in sua casa. In tale critica circostanza conscio qual è il parroco di Sanfront delle ottime qualità, che V.M. ha ereditato dal magnanimo compianto di lei genitore, se ne ricorre a lei umilmente, pregandola caldamente a volersi degnare di accordagli qualche sussidio”. Firmato Felice Camillo Craveri parroco e vicario foraneo di Sanfront. Questo il documento inviato dal prevosto al Re.

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